Diego Giglio, il nuovo chef “Del Cambio” di Torino, si racconta a Il Carmagnolese

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Dalla passione nata da bambino fino all’incarico da chef in uno dei ristoranti più iconici d’Italia, “Del Cambio”: il carmagnolese Diego Giglio racconta il suo percorso tra tradizione, semplicità e rispetto per il territorio.

chef del cambio
Diego Giglio, nuovo chef del celebre ristorante stellato “Del Cambio” di Torino

Si chiama Diego Giglio, ha 46 anni ed è originario di Carmagnola, il nuovo chef executive del ristorante “Del Cambio” di Torino, uno dei locali storici più celebri d’Italia.

Formatosi in alcune delle più prestigiose cucine del panorama nazionale, Giglio fa parte del team di piazza Carignano fin dalla riapertura nel 2014, lavorando a stretto contatto con il suo predecessore, Matteo Baronetto. “Il Carmagnolese” lo ha intervistato.

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Quando è nata la sua passione per la cucina?
«Mi accompagna da quando ero piccolo: salivo sulla sedia per vedere cosa preparavano mia mamma o mia nonna. Un gesto istintivo, che è cresciuto nel tempo. Sapevo di voler fare il cuoco e ho frequentato l’alberghiero Giolitti a Mondovì. Da lì sono iniziate le stagioni in giro per l’Italia, poi l’apertura del ristorante di Cracco a Milano. In 14 anni, sono partito da zero fino ad aprire il cinque stelle lusso Palazzo Parigi, sotto la sua consulenza. Poi è arrivata la proposta di Matteo Baronetto per la riapertura di Del Cambio: ho iniziato un nuovo percorso, dove oggi ho scelto di restare».

Cosa ha provato quando è diventato executive chef al Del Cambio?
«All’inizio, anche se ero parte della squadra fin dal 2014, è stato emozionante. Oggi il mio compito è portare avanti un’evoluzione coerente, legata alla tradizione ma capace di sorprendere».

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Come descriverebbe il suo stile?
«Una cucina elegante ma sincera, senza effetti speciali. La mia idea è quella di valorizzare la materia prima locale, studiandone le caratteristiche per preservarne l’essenza. Non serve stupire con artifici: è la semplicità, se trattata con tecnica e rispetto, a rievocare emozioni autentiche».

Perché la semplicità può ancora stupire?
«È più difficile trattare i piatti classici, che tutti conoscono, rispetto a inventarne di nuovi. La tradizione ha sapori codificati: bisogna conoscere le materie prime e dare importanza alla sostanza, più che all’estetica».

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Che rapporto ha con le sue origini?
«Rappresentare Carmagnola in un luogo così simbolico è una responsabilità ma anche un onore. Nelle ricette cerco le tracce del passato e della cultura locale. Le materie prime sono la mia bussola».

Come trascorre il tempo fuori dalla cucina?
«Amo passare il tempo con mia figlia, vivere la quotidianità. Ogni tanto sogno piatti nel sonno, e da lì nascono idee nuove. Ma la famiglia resta il mio vero equilibrio».

Cosa ha imparato dal suo percorso?
«Che le difficoltà possono diventare opportunità, se affrontate con umiltà e determinazione. In un mondo che spesso bada all’apparenza, la sostanza resta la cosa più importante».

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