Aumenta la cassa integrazione all’ex Ilva di Racconigi e i lavoratori annunciano un presidio davanti allo stabilimento a partire da giovedì: «se non arriva un immediato intervento da parte del Governo, la fabbrica si appresta alla chiusura», denunciano i sindacati.

Giovedì 16 ottobre 2025 i dipendenti dell’ex Ilva di Racconigi sono pronti a far sentire la propria voce circa la crisi occupazionale che sta colpendo non solo lo stabilimento locale ma l’intero comparto siderurgico piemontese.
In particolare è stato organizzato un presidio davanti alla sede racconigese dell’azienda per “sensibilizzare l’opinione pubblica su ciò che sta accadendo e spingere le forze politiche ad avviare azioni concrete”.
«Abbiamo sempre fatto proposte per risollevare la situazione dell’Ilva e siamo aperti a discutere di nuove -dichiara Domenico Calabrese, funzionario provinciale FIOM-CGIL– Ciò che non si può accettare in modo silenzioso è che si chiuda lo stabilimento di Racconigi perché significherebbe dichiarare il fallimento dell’esperienza siderurgica italiana».
Degli 87 dipendenti ex ILVA a Racconigi, 15 già si trovano in cassa integrazione dal mese di settembre e questa settimana il numero si alzerà a 50, con una previsione della quasi totalità entro novembre.
«Al momento l’ex Ilva si trova in amministrazione straordinaria, senza un vero e proprio proprietario, unicamente gestita dallo Stato –aggiunge Alessio Bubba, delegato FIOM e dipendente dello stabilimento di Racconigi- Il problema risulta essere il fatto che, laddove l’azienda non riesce a sostenere le spese con la produzione, alleggerisce i debiti mettendo in cassa integrazione sempre più dipendenti».
Per i sindacati -mentre la cassa integrazione per le sedi maggiori dell’ex Ilva (a Taranto, Novi Ligure e Genova) ha un impatto del 35/40% sui dipendenti- «lasciare a casa oltre il 90% dei lavoratori racconigesi significherebbe chiudere lo stabilimento senza possibilità di avere una prospettiva di futuro per l’azienda» in quanto «non essendoci né progetti in vista né un tavolo allestito al Governo nel quale si possa discutere di un interessamento di acquisto da parte di terzi, tale misura sembra essere fine a se stessa».
Da qui la decisione dello sciopero: «Chiediamo un tavolo di discussione urgente in Regione -prosegue Calabrese– Riteniamo che il Piemonte debba intervenire con gli strumenti che ha a sua disposizione per far leva sul Governo e comunicare all’Amministrazione straordinaria che i numeri di produzione della sede di Racconigi non sono dettati da un calo di lavoro ma sono dovuti alla scelta precisa di tenere fermi i siti più piccoli per riparare una situazione debitoria che ha l’azienda da anni».
Intanto, il sentimento generale tra i lavoratori è di rabbia ma non di rassegnazione. «La fabbrica non deve chiudere: siamo lavoratori che da anni si battono per mantenere lo stabilimento aperto e anche questa volta speriamo che la nostra lotta venga ascoltata. Ecco perché faremo di tutto affinché si possa trovare una soluzione».
















































