Pasta integrale: tre falsi miti da sfatare

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La pasta integrale piace sempre di più, una scelta di benessere e di gusto. Ma quali sono le caratteristiche e i valori nutrizionali? La parola all’esperto.

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Lasagne integrali: un prodotto “di nicchia” sul mercato della pasta, ma sempre più ricercato (foto: Pasta Arrighi – Carmagnola)

Il trend salutista degli italiani tocca anche il mondo della pasta: in particolare, quella integrale -dai formati classici a quelli più innovativi quali, ad esempio, le lasagne integrali– piace sempre di più, a oltre la metà (53%) degli italiani che la consuma soprattutto perché fa bene oltre che per via del gusto, diverso, e gradito.

Lo rivela la ricerca “Gli italiani e la pasta”. Ma siamo proprio sicuri di essere davvero informati sulle caratteristiche e i vantaggi nutrizionali della pasta integrale? Ecco cosa ci dichiara il professor Luca Piretta, nutrizionista e gastroenterologo.

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Sì all’integrale ma non solo pasta

La pasta integrale contiene più fibra e sali minerali di quella tradizionale, ma concentrare la “voglia” di integrale solo sulla pasta è sbagliato perché anche se mangiassimo solo pasta integrale al posto di quella di semola di grano duro, con il consumo attuale (circa 24 kg pro capite annui) ingeriremmo grazie alla pasta solo il 10-12% delle fibre che dovremmo assumere quotidianamente.

Secondo Piretta “per ottenere dalla pasta tutta la fibra di cui abbiamo bisogno dovremmo mangiare porzioni da 400 grammi, tutti i giorni, tutto l’anno… Assurdo. Ovviamente non si può pensare di assumere tutto il fabbisogno di fibre tramite la pasta integrale, ma sempre all’interno di una dieta ricca. I suoi nutrienti non sostituiscono quelli di frutta e verdura, ricche di fibre ma anche di polifenoli e vitamine. La strada giusta è compensare la mancanza di fibre nella nostra dieta puntando proprio su frutta e verdura come carciofi, broccoli, cipolla, aglio, arancio, mela… E di alcuni la pasta può essere partner ideale”.

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Le fibre non sono per tutti

In generale dovremmo mangiare tutti più fibra di quanto facciamo attualmente, per un consumo raccomandato di circa 25-30 grammi. Ma attenzione a non esagerare, perché la fibra insolubile rende gli alimenti meno digeribili e un consumo eccessivo può creare fermentazione intestinale.

Secondo Luca Piretta “riferirsi solo al prodotto senza considerare chi lo mangia è sbagliato. Per diabetici e persone obese la pasta integrale è una soluzione perfetta, ma per altre categorie o fasce di età un eccesso di fibra, come sempre, può non far bene, anzi è da sconsigliare perché è un po’ più difficile da digerire: è il caso degli anziani e di quanti soffrono della sindrome del colon irritabile, patologia che colpisce ben il 20% della popolazione. Sull’assorbimento (o il non assorbimento) del cibo entrano in gioco tante variabili soggettive, come il metabolismo, o il momento della giornata in cui mangiamo. Cenare tardi per esempio, non aiuta la corretta digestione e quindi è preferibile mangiare la pasta integrale a pranzo e non a cena”.

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La demonizzazione del Non-Integrale

L’aumento dei consumi di pasta e cibi integrali ha generato in molti l’errata convinzione che il cibo “non integrale” faccia addirittura male.

Secondo Piretta, “dobbiamo liberarci dalla schiavitù del pensiero che ci sono cibi che fanno bene e cibi che fanno male. È la madre di tutti gli equivoci. Questa errata convinzione nasce perché molti non conoscono il processo produttivo della decorticazione del chicco. È un processo meccanico, in cui seme e crusca vengono separati dalla forza di gravità e dal passaggio attraverso appositi rulli. Invece ci si riferisce a semola di grano duro o alla farina 00 come farine “raffinate”, come se venissero trattate con sostanze chimiche… Ma non è così. La semola classica è buonissima e, dal punto di vista nutrizionale, le differenze tra questi due tipi di pasta sono minime. Anche una pasta “tradizionale” ha di per sé un indice glicemico basso (30-35) e garantisce il suo apporto di carboidrati complessi a lento assorbimento, proteine e fibre”.

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