Deposito dei rifiuti radioattivi, parla l’ambientalista Beppe Tresso

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Italia Viva del Chierese e del Carmagnolese ha intervistato Beppe Tresso, ambientalista ed esperto di energie rinnovabili, sul tema del deposito dei rifiuti radioattivi.

Beppe Tresso
Beppe Tresso, ambientalista e imprenditore nel settore dell’energia rinnovabile

“Il Carmagnolese” riceve dai referenti di Italia Viva del Chierese e Carmagnolese, Federica Zamboni e Pier Antonio Pasquero, il testo di un’intervista a Beppe Tresso in merito al deposito nazionale unico di rifiuti radioattivi.

Tresso, imprenditore nel campo dell’energia rinnovabile e dell’economia circolare, è attivo da trent’anni nelle associazioni ambientaliste, oltre ad avere alle spalle diversi incarichi pubblici e una lunga collaborazione con l’Istituto per le Piante da Legno e l’ambiente della Regione Piemonte.

Che caratteristiche avrà il deposito nazionale delle scorie nucleari?

Serve davvero un deposito nazionale per i rifiuti radioattivi?
Certamente sì. Si tratta di un’opera urgente e indispensabile. Per quanto l’energia nucleare sia sovente abbinata alle scorie delle centrali energetiche (In Italia ne erano entrate in funzione quattro tra il 1963 e il 1990), in realtà le fonti di produzione nucleare sono molte e quotidiane, basti pensare alle comuni radiografie o a certi tipi di cure mediche. Le scorie, pertanto, esistono e vengono prodotte continuamente. Sono quindi da gestire in sicurezza con realismo, competenza tecnica, responsabilità sociale e senso civico.

Questi impianti sono sicuri?
Non sono un esperto, ma tenderei ad escludere rischi particolari. Si tratta di tecnologie e processi collaudati in molte parti del pianeta. Inoltre, la Sogin, responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi è una società pubblica controllata dal Ministero dell’economia.
Ovviamente ci sarà qualcuno che storcerà il naso proprio perché questa società è controllata da un ministero, ipotizzerà complotti e dietrologie… Io, invece, per esperienza tendo a fidarmi delle procedure, dei sistemi di controllo e soprattutto delle professionalità presenti nelle strutture pubbliche.

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Ma il nucleare non era stato abbandonato dopo un referendum abrogativo?
Bisogna capirsi su cosa si intenda con “nucleare”: se ci si riferisce alla realizzazione di centrali di produzione energetica, va subito chiarito che ben due referendum popolari (nel 1987 e nel 2011) hanno sancito il divieto di costruzione di siti nucleari in Italia. Che infatti oggi non ci sono.
Però “nucleare” significa anche “decommissioning” cioè le azioni collegate allo smantellamento di un impianto nucleare: la separazione del combustibile, la caratterizzazione radiologica (cioè la verifica del livello di contaminazione radioattiva), la decontaminazione delle strutture e infine la demolizione delle strutture stesse.
Infine, come già accennato, molte fonti di produzione nucleare vengono dal settore medico ospedaliero, dall’industria e dalla ricerca.

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Chi aveva deciso il ritorno al nucleare in Italia?
Il governo Berlusconi nel 2009 firmò un accordo con la Francia per la realizzazione di quattro centrali atomiche, decidendo in tal modo il ritorno al nucleare. Tuttavia, il successivo referendum del 12-13 giugno del 2011 ha determinato l’abbandono del progetto.

Non trova curioso che proprio quelle forze politiche che vollero reintrodurre il nucleare in Italia siano oggi in prima fila a combattere il deposito?
Diciamo che non sono sorpreso. Sui temi ambientali la politica ha spesso la memoria corta e agisce in base alle contingenze e al clima del momento. In secondo luogo, in parte dei residenti di un territorio (spesso si tratta di una “gran” parte…) l’atteggiamento “Nimby” (Not In My Back Yard) –per cui le opere pubbliche vanno bene a condizione che vengano fatte da altre parti– è una costante che può essere sfruttata con successo da parte di partiti o movimenti populisti. È evidente che siamo di fronte ad una contraddizione evidente: In certi contesti, dichiararsi favorevole al nucleare esalta la polemica sulla presunta arretratezza italiana rispetto alle altre nazioni e fa scattare l’applauso.
Ma si tratta del medesimo applauso popolare che viene tributato (spesso dalle stesse persone…) al primo gruppo che si oppone pubblicamente e avvia comitati di protesta, quando si tratta di gestire una qualsiasi opera di valore pubblico ambientale.

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Non crede che, con la centrale di Trino e il deposito di Saluggia, il Piemonte abbia già dato all’Italia un contributo adeguato?
Non capisco in basa quale criterio si possa definire “adeguato” questo eventuale contributo, e –anche ammettendo un eventuale eccesso di carico territoriale- mi pare che sarebbe comunque difficile trovare in Italia un’area che non “abbia già dato” dei contributi all’Italia in materia di rifiuti. E saremmo daccapo.
Peraltro, non mi pare che Saluggia sia stata individuata tra le aree ritenute idonee. Credo che la domanda in realtà indichi semplicemente la volontà inconsapevole di cedere il cerino a qualcun altro. Mi sembra un desiderio francamente irresponsabile.E comunque non capisco il criterio del confine geografico. Comune, provincia, regione, nazione… Con lo stesso principio, la Francia, che fornisce energia elettrica all’Italia prodotta nelle sue centrali nucleari, si dovrebbe sentire autorizzata a scaricare sul nostro territorio la quota di scorie che producono per sostenere il nostro consumo energetico.
I criteri di scelta che sono stati individuati sono pubblici e verificabili: credo sia meglio concentrare l’attenzione su questi, invece di inventare altre categorie.

Torniamo all’oggi. Dal 5 gennaio sono noti i 67 siti ritenuti idonei in Italia per ospitare il deposito nazionale unico dei rifiuti radioattivi, i criteri adottati nello studio preliminare sono condivisibili?
I criteri mi pare proprio di si. È comunque sempre possibile che la descrizione delle motivazioni adottate presenti degli errori o richieda delle correzioni, per cui è necessaria la verifica puntuale a livello locale di quanto scritto nella relazione tecnica della Sogin. Si tratta di un’azione di partecipazione attiva dei territori che il processo decisionale, correttamente, prevede.

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Serve chiedere oggi a Mattarella, al Presidente Cirio o alla Sindaca Appendino di depennare il sito di Carmagnola?
Non ne vedo il motivo… non sono loro i soggetti incaricati. inoltre, si tratta di un percorso di selezione che durerà ancora diversi anni.

Condivide il parere del sindaco di Cambiano, che ritiene le petizioni su questi temi superate? E’ vero che nei livelli superiori non le guarda più nessuno e quindi risultano solo iniziative di facciata?
Personalmente condivido la perplessità sull’opportunità di molte iniziative di protesta e indignazione pregiudiziale. La questione delle scorie è seria, delicata e complessa e non deve essere affrontata con reazioni istintive, senza una piena coscienza dei fatti. Non è un caso che in tutti i siti italiani vi sia stata la medesima reazione di protesta. Ed è un po’ deprimente, ma molto in linea con i tempi, che le forze politiche che hanno sostenuto con forza il ritorno del nucleare in Italia nel 2009 siano proprio quelle che oggi sono in prima linea a protestare. Servono approfondimenti, analisi, dati tecnici e motivi concreti per opporsi –eventualmente – ad accogliere una opera di alto valore pubblico. Non le reazioni di pancia.

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Cosa possono fare oggi le istituzioni per tutelare i cittadini del Carmagnolese?
Una verifica puntuale di tutti i fattori utilizzati dalla Sogin, per formulare tutte le obiezioni entro due mesi, salvo proroghe, ovvero entro l’inizio di marzo. E’ necessario un lavoro molto accurato per far emergere tutti gli eventuali errori e incongruenze delle analisi preliminari, in particolare per quanto riguarda le valenze agrarie e naturali del territorio, perché i sopralluoghi utilizzati finora risalgono all’autunno 2014.

Serve accelerare la costituzione e l’avvio operativo del Distretto del Cibo del Chierese e del Carmagnolese?
Non credo serva “per evitare la costruzione del sito”: serve a prescindere. Il nostro è un territorio splendido che va valorizzato indipendentemente dalla eventuale presenza di un sito di stoccaggio.
Segnalo che in Francia i due principali siti di stoccaggio delle scorie sono da anni all’interno di una splendida zona turistica nella regione dell’Aube. Non mi farei quindi condizionare. Operiamo per avviare il distretto il prima possibile perché è giusto, non perché forse, prima o poi, ci saranno delle scorie da gestire.

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